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sabato 18 luglio 2015

Autobus

Mi sembra evidente che non vi sia ad oggi pratica più diffusa di quella dello spalleggio. Sono consapevole che è come se tutto fosse affiorato su di un'unica dimensione, non ve ne sono altre da condividere per ora. Come se fossimo tutti sullo stesso autobus affollato: ben stipati. E' impossibile cadere anche alla più brusca delle sterzate: c'è la spalla del vicino che sostiene le nostre membra.
Di conducenti poi, neanche l'ombra dato che le manovre sono pre impostate nella stanza dei bottoni.
Quindi si procede in apparenza tutti in una stessa direzione finché ognuno non scende alla sua fermata. E che male c'è in tutto questo trasporto pubblico? Forse solo l'apparenza che sino a che non si è scesi e si affrontano le cose da soli, la convivenza risulta sicurissima e tutelata come la migliore delle madri, che tutto fa per noi. E questa apparenza col tempo potrebbe diventare, ommioddio, reale e creare dissapori, si sa.  Ma è una grandissima conquista. Non credo che sia sufficiente abbandonarsi alla discesa dall'autobus ché non ha il potere di promettere successi. Il passaggio successivo è personale e comunque sempre rivoluzionario.

Ma lo si può invocare,
si può raccontare di chi è sceso
e ha preso una sua direzione.
Credo che si debba fare proseliti di ciò.

Perché nessuno ci racconta il suo viaggio, la direzione presa una volta sceso, e fa da apripista ad altri?

Forse per paura che qualcuno dopo tanto impegno raggiunga agevolato il suo traguardo e che infine lo superi. Quindi si va assieme, ma da soli allo stesso modo, sui binari di un meccanismo economico di una perfezione imbarazzante.

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